giovedì 29 novembre 2018

Pieve di Sant’Eufemia

La pieve di Teglio sarebbe sorta sul distretto di uno dei "castella" del "municipium" di Como; il distretto del "castellum", divenuto quello del "concilium" romano, fu lo stesso sul quale dispiegò la sua giurisdizione la pieve. L'antico capoluogo del "concilium" tellino divenne il centro della pieve: in esso si sarebbe insediato il "presbyter", da cui dipendeva il collegio dei chierici. I confini entro i quali venne a estendersi la giurisdizione pievana erano delimitati a est dal rio di Bianzone e dal rio della Motta, dove cominciava la pieve di Villa, a ovest dalla Val Rogna e dalla Val Malgina, lungo le terre della pieve di Tresivio. La pieve fu vincolata fin dalle origini al vescovo di Como. Il peraltro discusso diploma dell'imperatore Lotario I del 3 gennaio 824, con il quale l'imperatore confermava al vescovo di Como i privilegi a lui concessi da Ludovico I e da Carlo Magno, non nominava fra le "ecclesiae baptisimales" quella di Teglio, mentre vi figuravano quelle di Mazzo, Bormio e Poschiavo. La prima attestazione documentaria della pieve di Teglio risalirebbe al 1117. Si tratta di un atto notarile, datato 8 novembre 1117, riportato da un documento apografo del XVI secolo, relativo alla consacrazione della chiesa di Sant'Eufemia "in plebana Tilij" da parte di Guido Grimoldi, vescovo di Como, "in honore Sancte Eufemie virginis et martiris et Sancte Agnetis virginis et martiris et Sancte Cecilie virginis et martiris". Lo smembramento della pieve di Teglio ha inizio nel XV secolo. Le prime chiese a chiedere la separazione dalla matrice di Teglio furono Grania (San Giacomo di Teglio) (1423), Carona (1425) e Aprica (1427). Il decentramento religioso provocava un indebolimento delle prerogative economiche spettanti alla chiesa plebana, generando conflitti come quello che indusse i "rectores" della chiesa di Santa Eufemia di Teglio ad avanzare delle rimostranze di fronte al distacco della chiesa di San Giacomo delle Piatte in località Grania, avvenuto nel 1441; i vicari del vescovo Gerardo Landriani, durante la visita pastorale del 1445, imposero alla comunità di corrispondere decime e primizie alla parrocchiale di Santa Eufemia, almeno fino all'accertamento dell'avvenuta separazione (Visita Landriani 1444-1445, Introduzione). Eufemia (Calcedonia, 288 – Calcedonia, 16 settembre 303) è stata una santa greca antica. Durante la persecuzione di Diocleziano, a soli quindici anni, fu arrestata assieme ad altri quarantanove cristiani che avevano rifiutato di immolare una vittima ad una divinità pagana. Come gli altri fu torturata, ma restò sempre fedele ai suoi ideali spirituali rifiutando di compiere l'olocausto. Il 16 settembre del 303 fu gettata nell'arena di Calcedonia tra i leoni. Secondo la tradizione, essi la uccisero ma, mangiatone la sola mano destra, rifiutarono di divorare il resto del corpo, intuendo la sua santità. Gli altri fedeli riuscirono così a recuperare il corpo e a proteggerlo sino all'Editto di Costantino, con il quale veniva riconosciuta la religione cristiana. 

Parrocchiale di Santa Eufemia



 













fonti:

http://www.lombardiabeniculturali.it/istituzioni/schede/10100183/ https://it.wikipedia.org/wiki/Eufemia_di_Calcedonia

martedì 20 novembre 2018

La Pieve di San Lorenzo




La chiesa pievana di San Lorenzo a Villa di Tirano, fu fondata con ogni probabilità nel corso del VII secolo.

Si scelse per la costruzione il punto di intersezione della “strada di Valle” la Valeriana con la strada proveniente dalla Valcamonica l’Itinerario Galleno, la quale, dopo essersi divisa nei due rami di Pian Gembro-Santa Cristina e del passo d’Aprica e nuovamente riunita a Stazzona, valicato il ponte sull’Adda (il noto pùnt de sàss), puntava dritta su Villa ai piedi del versante retico per fondersi con la principale. L’unica strada proseguiva poi verso la valle di Poschiavo, biforcandosi, dopo il ponte della Folla sul Poschiavino, nel ramo verso Tirano e l’alta valle dell’Adda lungo itinerari praticati fin dai tempi preistorici.
Villa e non Tirano, allora semplice vicinanza della prima, ebbe importanza nel Medioevo in quanto capoluogo delle pieve che esercitò la sua giurisdizione religiosa e civile in un vasto territorio, dai confini con la castellanza di Teglio (dal Rio di Bianzone e dal Rio della Motta) alla Valchiosa (presso Sernio) e alla Valle del Termine in Valle di Poschiavo. La pieve di Villa fu tra le più antiche della diocesi, come indica la dedicazione al martire Lorenzo.
Le notizie sulla vita di san Lorenzo, che pure in passato ha goduto di una devozione popolare notevole, sono scarse. Si sa che era originario della Spagna e più precisamente di Osca, in Aragona, alle falde dei Pirenei.
Ancora giovane, fu inviato a Saragozza per completare gli studi umanistici e teologici; fu qui che conobbe il futuro papa Sisto II. Questi insegnava in quello che era, all'epoca, uno dei più noti centri di studi della città e, tra quei maestri, il futuro papa era uno dei più conosciuti ed apprezzati. Tra maestro e allievo iniziarono quindi un'amicizia e una stima reciproche. In seguito entrambi, seguendo un flusso migratorio allora molto vivace, lasciarono la Spagna per trasferirsi a Roma.
Quando il 30 agosto 257 Sisto fu eletto vescovo di Roma, affidò a Lorenzo il compito di arcidiacono, cioè di responsabile delle attività caritative nella diocesi di Roma, di cui beneficiavano 1500 persone fra poveri e vedove.
Al principio dell'agosto 258 l'imperatore Valeriano aveva emanato un editto, secondo il quale tutti i vescovi, i presbiteri e i diaconi dovevano essere messi a morte. L'editto fu eseguito immediatamente a Roma, al tempo in cui Daciano era prefetto dell'Urbe. Sorpreso mentre celebrava l'eucaristia nelle catacombe di Pretestato, papa Sisto II fu ucciso il 6 agosto insieme a quattro dei suoi diaconi, tra i quali Innocenzo; quattro giorni dopo, il 10 agosto, fu la volta di Lorenzo, che aveva 33 anni. A partire dal IV secolo Lorenzo è stato uno dei martiri più venerati nella Chiesa di Roma.

Antiche mura a Villa di Tirano


















fonti:
http://www.distrettoculturalevaltellina.it/sites/default/files/57_L%27ANTICA_PIEVE_DI_SAN_LORENZO_GARBELLINI.pdf
https://it.wikipedia.org/wiki/San_Lorenzo
http://www.santiebeati.it/dettaglio/21350





















venerdì 16 novembre 2018

La Pieve





La pieve (dal latino plebs, "popolo") è una chiesa con annesso battistero. Nell'Alto Medioevo la pieve, detta chiesa matrice o plebana, era al centro di una circoscrizione territoriale civile e religiosa. A essa erano riservate alcune funzioni liturgiche e da essa dipendevano altre chiese e cappelle prive di battistero. Dal Basso Medioevo le funzioni proprie della pieve passarono alla parrocchia.
Dopo la caduta dell'Impero Romano e il graduale disfacimento delle istituzioni e delle strutture poste a governo del territorio, l'amministrazione delle pievi passò in gran parte alle autorità religiose, sia nelle aree di campagna sia nei centri abitati di una certa importanza (o perché sedi di mercato o in quanto sedi amministrative o stazioni di posta, oppure ancora insediamenti agricoli di dimensioni maggiori). Il maggiore sviluppo di questa organizzazione territoriale si ebbe in zone in cui l'autorità centrale era più debole, spesso di difficile accesso.
La diffusione delle pievi ecclesiastiche iniziò nel VI secolo, nelle zone dove la centuriazione romana non era ancora stata cancellata dal tempo, le pievi ecclesiastiche furono erette in corrispondenza di un punto prestabilito: il quintario, ovvero la strada, più larga delle altre, che veniva tracciata ogni cinque lotti del reticolato centuriale.
La pieve, oltre ad essere il nucleo dell'organizzazione ecclesiastica delle campagne, ereditò le funzioni civili e amministrative del municipio romano, assumendo il ruolo di "centro" del territorio di competenza. Il pievano infatti, oltre ad essere il governatore delle anime, assolveva funzioni civili e amministrative: teneva i registri delle nascite, custodiva i testamenti e gli atti di compravendita dei terreni. Le pievi si occupavano di riscuotere i tributi e raccogliere le decime. Inoltre coordinavano i lavori concernenti la difesa del territorio: bonifiche, opere di canalizzazione, ecc. La pieve, quindi, era sia centro religioso che entità territoriale (Plebs cum capellis et decimis: la pieve funge da chiesa matrice; le cappelle sono i centri religiosi minori da questa dipendenti).
Nell'area milanese e lombarda in genere le prime pievi furono dedicate a santi martiri venerati già in epoca romana (V-VI secolo), ovvero universalmente noti (santo Stefano , san Lorenzo), o conosciuti nel territorio lombardo (san Vittore, santi Gervasio e Protasio).
Per tutta l’epoca post-tridentina, e in pratica fino agli inizi del XX secolo, il termine pieve venne usato quasi esclusivamente per indicare una circoscrizione territoriale, coincidente con l’antica giurisdizione della chiesa plebana.

Madonnina di Uzza (Valdidentro)

Fonti:

domenica 4 novembre 2018

San Vittore a Poschiavo


La Chiesa milanese ripete il proprio nome dal grande vescovo S. Ambrogio, estendendo tuttavia il significato alle età precedenti: cosicché per "Chiesa ambrosiana" si può intendere la vita e il funzionamento ecclesiastico di Milano e diocesi dai primi tempi del cristianesimo fino all'età nostra. In questo vasto spazio di tempo si succedettero e mutarono i regimi politici, cioè il municipio romano, il regno longobardo, il comune, il ducato, infine il dominio francese e l'austriaco; la Chiesa, invece, avendo posto con rapido successo salde radici nella città e nella regione circostante, mentre ancora fioriva l'antico municipio, più non abbandonò né città né regione, essendo divenuta compagna necessaria e inseparabile ad entrambe, e spesso anzi protagonista nelle vicende della vasta contrada, fino ai giorni nostri. La posizione geografica della regione lombarda, la sua importanza politica di prim'ordine, il sovrapporsi, durante i secoli, di diverse stirpi e culture, la partecipazione stessa, continua e attiva, della Chiesa alla vita pubblica, per cui essa poté intrecciare la propria storia con quella del popolo milanese, hanno dato alla chiesa ambrosiana tale sviluppo da farla assurgere ad altissimo posto fra le chiese e provincie ecclesiastiche in Italia.
La tradizione e la storia pongono in cima al catalogo dei vescovi ed arcivescovi milanesi, dopo S. Barnaba, che fu già compagno di S. Paolo e che sarebbe stato il primo ad introdurre il cristianesimo a Milano, il greco Anatalone, discepolo di S. Barnaba. Viene poi la figura immortale di Ambrogio, il santo eponimo della Chiesa milanese, il quale, di là dai confini della propria diocesi; aveva una provincia che si estendeva tanto quanto la diocesi d'Italia secondo la divisione di Costantino, così da comprendere Liguria, Venezia, Emilia, le due Rezie, le Alpi Cozie e parte della Toscana. Una provincia, dunque, estesa da Ravenna a Coira, Augusta, Ratisbona; da Aquileia a Torino, Nizza, Genova: immensa estensione venutasi poi mano a mano restringendo, per la costituzione successiva di altre metropoli. 

Vittore il Moro, o anche Mauro ("della Mauretania") (Mauretania, III secolo – Lodi Vecchio, 303), è stato un soldato romano di stanza a Milano all'epoca di Massimiano, che subì il martirio per la fede cristiana come gli altri martiri Nabore e Felice.
Se l'appellativo non rischiasse di apparire troppo leggero e irriverente, potremmo dire che S. Ambrogio fu uno dei più efficaci "talent-scout" della storia. Scavando, letteralmente, nella storia di Milano, vi ritrovò personaggi illustri, che onoravano la diocesi di cui egli si era trovato così repentinamente alla testa. E da buon "talent-scout" egli sapeva anche lanciare i suoi pupilli con tutti i mezzi della pubblicistica allora disponibili, soprattutto le feste popolari, gli inni sacri e i monumenti. Una delle scoperte di S. Ambrogio è appunto S. Vittore, di cui egli parlò diffusamente nell'Explanatio evangelii secundum Lucam e nell'inno Victor, Nabor, Felix pii. L'altra fonte "storica" da cui apprendiamo la vita e soprattutto il martirio di S. Vittore sono gli Atti, che risalgono al secolo VIII.
Il culto di san Vittore ebbe una larga diffusione su impulso di Ambrogio, che volle seppellire accanto a lui il proprio fratello Satiro. Molte chiese furono dedicate a san Vittore a Milano e nella diocesi ambrosiana, a tal punto che la presenza di chiese o edicole a lui dedicate viene considerata una prova dell'appartenenza (oggi o nel passato) di un territorio alla suddetta diocesi (Ubi Victor, ibi ambrosiana ecclesia). Antichissima è l’origine della Parrocchia di Poschiavo. Già nel secolo VIII era attestata la presenza di una chiesa battesimale, citata in un diploma dell’imperatore Lotario I dell’anno 824. La chiesa di San Vittore è, invece, citata esplicitamente per la prima volta all’interno di un atto del 19 maggio 1286. Nel 1690 San Vittore Mauro fu eretta in prevostura.
La Parrocchia, staccata dalla Diocesi di Como, fu unita a quella di Coira il 21 febbraio 1871.


Veduta di Poschiavo
 

















Fonti:
http://www.santiebeati.it
http://www.treccani.it/enciclopedia/chiesa-ambrosiana_%28Enciclopedia-Italiana%29/
https://it.wikipedia.org/wiki/Arcidiocesi_di_Milano
https://it.wikipedia.org/wiki/Carolingi
https://www.ilbernina.ch/2014/03/01/parrocchia-cattolica-san-vittore-mauro-poschiavo/

sabato 3 novembre 2018

San Vigilio a Tirano

Il popolo dei Reti aveva i propri territori nelle attuali regioni del Trentino-Alto Adige, Tirolo, Bassa Engadina e prealpi veronesi. L’ipotesi più attendibile sulle loro origini è che questo popolo sia nato come etnia di indigeni alpini. Gli storici latini fanno risalire la civiltà retica al II° secolo a.C., semplificandolo come un miscuglio eterogeneo di popoli appartenenti a culture diverse come Etruschi, Celti e Illiri.
Augusto dal 16 al 9 a.C., combattè qui una delle sue più importanti guerre: la campagna contro Reti, Norici, Pannoni ed altri che terminò con l’espansione verso nord dell’Impero Romano e che portò alla formazione delle due nuove provincie della Rezia e del Norico.
Non è escluso che i Reti dessero al vino un significato spirituale. Sul frammento di una brocca rinvenuta a Sanzeno in Val di Non, è infatti raffigurato un accoppiamento rituale dionisiaco (Dioniso , il dio greco dell'ebbrezza). Il vino prodotto dai Reti era molto apprezzato anche alla corte imperiale. Politeisti, veneravano divinità di origine mediterranea ed anche alcuni Dei orientali.
Nelle antiche descrizioni i Reti appaiono come un popolo portato alla guerra e selvaggio, che non perdeva occasione per effettuare scorrerie ed attacchi verso i fondovalle già romanizzati. D'altro canto essi stessi erano visti come un ostacolo al transito tra i versanti nord e sud delle Alpi, in quanto esigevano il pagamento di pedaggi e assalivano i convogli. Si suppone che queste descrizioni siano state volutamente enfatizzate per giustificare la conquista delle Alpi da parte dei romani.
Vigilio è un trentino, ma di origine romana, e nei documenti lo troviamo già vescovo di Trento. Ha avuto l’incarico da Ambrogio, vescovo di Milano, che all’epoca ha autorità su tutta l’Italia del Nord: al momento della sua nomina (nell’ultimo decennio del IV secolo) il Papa è Siricio, energico sostenitore del primato romano su tutta la comunità cristiana. (In quell’epoca, infatti, scrivendo al vescovo di Tarragona in Spagna, afferma deciso: "L’apostolo Pietro in persona sopravvive nel vescovo di Roma"). Però lascia che Ambrogio sovrintenda al nord Italia, dove la struttura cristiana è tutt’altro che consolidata. Vigilio, per esempio, è solo il terzo vescovo di Trento; e parti importanti del suo territorio non sono ancora evangelizzate.
Secondo la tradizione, Vigilio fu molto solerte nel combattere l'idolatria e ciò avrebbe causato il suo martirio: accompagnato dai fratelli e da un altro missionario si sarebbe recato in Val Rendena, dove avrebbe celebrato la Messa e gettato nel fiume Sarca una statua di Saturno. Questo avrebbe scatenato l'ira dei pagani, che l'avrebbero ucciso usando bastoni e zoccoli di legno ("sgalmere") con i quali spesso è raffigurato. I suoi resti sarebbero poi stati portati a Trento per essere seppelliti nel Duomo, che lui stesso aveva fatto costruire e dove si trovano ancora oggi.
Subito dopo il martirio la fama di Vigilio si sparse in Italia. Eugippio, successore di Vigilio nell'incarico vescovile a Trento, fece intitolare a Vigilio la cattedrale di Trento e la fece ingrandire, data l'importanza acquisita dal culto dedicato al santo. La chiesa venne poi rinnovata in stile romanico lombardo. Molte altre chiese in Trentino-Alto Adige sono dedicate a Vigilio e alcune località portano il suo nome, la più conosciuta delle quali si trova 10 km a sud di Brunico.
Vigilio è uno dei patroni del Trentino e dell'Alto Adige, delle miniere e dei minatori (vedi anche Santa Barbara) e dell'arcidiocesi di Trento. Inoltre a Roma, vicino all'Abbazia delle Tre Fontane, c'è una parrocchia intitolata a San Vigilio.
A Tirano il primitivo nucleo residenziale fu sicuramente attorno il castello del Dosso e nella zona sottostante a sud-ovest dell'odierna piazza Parravicini, significativamente denominata nel passato "contrada Vico", toponimo di chiara matrice latina, da vicus (villaggio), sorta a lato della strada di valle, la via destinata a diventare la più importante del borgo, sulla quale, alla fine del Quattrocento con la costruzione delle mura, saranno innalzate ai due estremi dell'abitato la Porta Milanese e la Porta Bormina. La contrada Dosso costituì il Vicus Superior (Vico di Sopra) e quella poco distante, ai piedi del colle, il Vicus Inferior (Vico di Sotto), che, unite nel nome di Vico, faranno parte delle dodici contrade del comune.
Il Dosso, come indica lo stesso nome, è un terrazzo naturale poco elevato ai piedi della montagna di Trivigno dirimpetto alla Valle di Poschiavo, dove, probabilmente già in epoca tardo-romana, si era formata una specie di cittadella non priva di maniero che, nel Medioevo, si trasformò in castello feudale tenuto dalla famiglia dei De Iudicibus e poi dai Capitanei.
In un testamento redatto nel 1324 con riferimento al Castellacium seu castrum, il predetto castello altomedievale del Dosso, troviamo notizie della chiesa di San Vigilio officiata da un presbitero, che sorgeva nei pressi.
Di questo vetusto edificio sacro dedicato al patrono della chiesa di Trento nulla oggi più resta se non un vago ricordo di una gesascia, citata ancora decenni fa dagli anziani della contrada, mentre del castello si possono rintracciare parti di muro incorporate in costruzioni recenti.
L'avvento nel 775 di Carlo Magno, vittorioso sui Longobardi, aveva accresciuto l'importanza dei transiti da un versante all'altro delle Alpi, favorendo la fondazione di monasteri e xenodochi lungo i relativi itinerari, e, tra l'altro, diffuso il culto di San Martino.
Con molta probabilità in epoca carolingia o in quella ottoniana immediatamente successiva, furono fondati gli xenodochi di Santa Perpetua e San Remigio sulla via del Bernina e la chiesa di San Martino in Tirano, assunto a patrono della comunità.

Corte interna in Contrada Dosso, Tirano (SO)

















fonti:
http://www.tuttostoria.net/storia-antica.aspx?code=15
https://it.wikipedia.org/wiki/Reti
http://www.santiebeati.it/dettaglio/59600
Garbellini, G. (2010) Tirano, il centro storico, 2° edizione, Sondrio, Cooperativa editoriale Quaderni Valtellinesi

venerdì 2 novembre 2018

Il culto di San Martino






Nel 422 Paolino di Milano scrive, su richiesta di Agostino di Ippona, una Vita di sant’Ambrogio di Milano. Nel prologo della Vita l'autore elenca i modelli su cui si vuole sostenere la sua storia: la Vita di Antonio di Atanasio, la Vita di Paolo eremita di San Girolamo e la Vita di San Martino di Sulpicio.
Questa enumerazione, in una data così precoce, mostra l'immenso successo di Sulpicio. Il suo libro si trova fra i "top 3" degli autori cristiani.
Sulpicio Severo, in latino Sulpitius Severus (360 circa – 420 circa), è stato uno storico e saggista romano cristiano e praticamente è la nostra unica fonte sul personaggio di Martino; Martino non ha scritto nulla di se stesso, né ha lasciato niente scritto.
Sulpicio Severo apparteneva alla aristocrazia senatoria gallo-romana di Bordeaux, era un avvocato e aveva ricevuto un'ottima formazione retorica; fu legato ai migliori studiosi cristiani. Il suo amico Paolino, pure originario da Bordeaux, si era ambientato in Campania, a Nola, dove alla fine divenne vescovo.
Dopo aver abbandonato i propri beni, Sulpicio Severo si era ritirato in una villa – di cui aveva mantenuto il possesso – a metà strada tra Carcassonne e Narbonne. Viveva lontano da Tours e quindi non aveva nessun rapporto con la Valle della Loira. Ha invece mantenuto una corrispondenza letteraria, accademica e spirituale con il suo amico Paolino. Ed è proprio Paolino che gli fa conoscere l'esistenza di Martino; Paolino, a Vienna sul Rodano, aveva incontrato Martino ed era stato guarito da una malattia agli occhi. Fu dunque Paolino colui che incoraggiò Sulpicio a fare un viaggio a Tours.
Paolino morì nel 431 e il racconto della sua morte fu immediatamente redatto dal prete Uranio; e questi scrive che Paolino, sul letto di morte, ebbe la visione di due Santi: non il martire Felice di Nola, bensì Martino e Gennaro. Questa è la prima menzione di San Gennaro, noto per la sua fama a Napoli. L'associazione con Martino ricorda invece la devozione di Paolino per il vescovo di Tours; ma dimostra pure che Paolino sapeva diffondere questa devozione anche nel contesto della Campania e del Sud Italia.
La base del culto di un Santo è normalmente la sua tomba: ma sappiamo poco della tomba di Martino all'inizio del V secolo. Il successore di Martino, Brìzio, ha una cattiva reputazione in Sulpicio; in realtà il vero e proprio impulso del culto presso la tomba di Tours sembra strettamente legato all'azione del vescovo Perpètuo, a partire dal 460 circa. Tuttavia la diffusione della biografia martiniana di Sulpicio fu veloce e il successo fu immenso.
All'inizio della Vita Sulpicio scrive che Martino era nato in Pannonia (odierna Ungheria) a Sabaria, ma che era stato educato a Pavia, nell’Italia del Nord. Quando Martino raggiunge Ilario a Poitiers, gli chiede il permesso di lasciarlo tornare a casa per convertire i suoi genitori. Sulpicio Severo riferisce che a Martino "fu ordinato di far visita alla sua terra d'origine e ai suoi genitori”. Come ufficiale romano Martino è probabilmente passato molte volte per Milano. Secondo Sulpicio, anche allora Martino passò per Milano in direzione della Pannonia; dopo Milano incontrò il diavolo a tu per tu e secondo certi commentatori si sarebbe trattato dell'imperatore Costanzo II, un sostenitore dell'arianesimo. Al ritorno, dopo aver combattuto appunto contro l'arianesimo nell’Illirico, cercò di stabilirsi infine a Milano per condurre finalmente la vita monastica a cui aspirava.
Ma è un fallimento, a causa dell'ostilità del vescovo di Milano Aussenzio, di tendenza ariana. Va quindi a stabilirsi sull'isola ligure di Gallinaria, dove conduce vita ascetica, mangiando erbe selvatiche e riuscendo perfino a scampare a un avvelenamento; quando poi viene a sapere del ritorno dall’esilio di Ilario, parte verso Roma. Ilario nomina Martino prima diacono e poi prete. Prende forma e si diffonde la fama di Martino come uomo di Dio.
Tornato in Francia comincia a vivere la vita monastica a Ligugè, a 8 km da Poitiers. Ben presto diversi seguaci lo raggiungono. In questo momento comincia a esistere una piccola comunità, primo nucleo del monachesimo occidentale. In questo senso si può dire che Martino è il padre del monachesimo occidentale, prima ancora di san Benedetto. Compie miracoli impressionanti; resuscitando un catecumeno, un giovane schiavo, appartenente a una famiglia vicina, un bambino. Alla fama di santità si aggiunge anche quella di taumaturgo. In seguito a queste guarigioni il popolo di Tours lo elegge vescovo della città. Martino accetta questo incarico pastorale e compie una scelta di grande valore simbolico: sarà vescovo, ma vivrà come monaco tutto il tempo che le cure della diocesi gli lasceranno.
Dal 360 al 370 sono anni di studio intenso della Scrittura, ma anche di preoccupazione per lo stato di abbandono delle popolazioni delle campagne che non conoscono il cristianesimo. Martino inizia in questo periodo uno straordinario lavoro di predicazione e di conversione delle popolazioni rurali. Questo impegno apostolico diventerà il tratto più importante del suo ministero.
Uno dei primi popoli barbarici a convertirsi al cattolicesimo fu quello dei Franchi. Stando alla narrazione del vescovo Gregorio di Tours (538-594), autore di un’importante Storia dei Franchi, re Clodoveo attorno al 496 si sarebbe convertito al cristianesimo, su consiglio della moglie e del vescovo di Reims, Remigio, dopo aver sperimentato l’efficacia dell’aiuto di Dio in battaglia. Sarebbe stato, dunque, un elemento utilitaristico a convincere il re franco ad abbandonare, assieme al suo popolo, la propria religione tradizionale e ad abbracciare quella professata nei territori della Gallia che allora stava portando sotto il suo diretto controllo. Come spesso succede per il primo medioevo, noi non sappiamo con esattezza cosa spinse effettivamente Clodoveo a compiere questo passo. In ogni caso egli intraprese una strada che permise una rapida integrazione tra il suo popolo e quello gallo-romano, grazie soprattutto al ruolo di mediazione svolto dall’episcopato.
Simbolo significativo dell’integrazione tra Franchi e Gallo-romani è il culto di san Martino. Il suo mantello divenne una reliquia ambitissima, che Carlo Magno custodiva nell’oratorio del palazzo regio, chiamato «cappella» proprio per la presenza della «cappa» di san Martino.
Santo guerriero di origini romane, Martino divenne il santo protettore dei Franchi convertiti al cristianesimo. Egli simboleggiava lo stretto legame che stringeva tra loro i guerrieri franchi alla Chiesa, un legame che divenne particolarmente saldo a partire dalla seconda metà del secolo VIII, quando l’ascesa dei Carolingi fu resa legittima proprio dall’appoggio ottenuto dal clero franco e, soprattutto, dalla Chiesa di Roma.
Con Carlo Magno e la conquista del regno longobardo il culto di San Martino si affranca anche in Italia, dove troviamo più di 900 chiese a Lui dedicate. 







Tirano (SO)
Tavoletta sulla sommità del timpano del portale della Basilica, con l'ostia eucaristica e l'effige di San Martino, patrono di Tirano e, un tempo, stemma ufficiale del Comune


 



Fonti:
- Michele Aramini, San Martino di Tours, Gorle (Bg), Editrice Velar, 2008
- (1) Bruno Judic, conferenza a Casalecchio di Reno (BO), 2016
- Sulpicio Severo, Vita Martini
(1) docente di Storia del Medioevo presso l'Università di Tours e presidente comitato scientifico del Cammino di San Martino di Tours

https://it.blurb.com/b/9791529-si-erano-persi-nei-meandri-della-vita-ed-altri-rac