martedì 25 dicembre 2018

Sant' Agostino a Tirano


Sant'Agostino nasce in Africa a Tagaste, nella Numidia - attualmente Souk-Ahras in Algeria - il 13 novembre 354 da una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Dalla madre riceve un'educazione cristiana, ma dopo aver letto l'Ortensio di Cicerone abbraccia la filosofia aderendo al manicheismo.
Ebbe un’infanzia molto vivace, ma non certamente piena di peccati, come farebbe pensare una sua frase scritta nelle “Confessioni” dove si dichiara gran peccatore fin da piccolo. I peccati veri cominciarono più tardi; dopo i primi studi a Tagaste e poi nella vicina Madaura, si recò a Cartagine nel 371, con l’aiuto di un facoltoso signore del luogo di nome Romaniano; Agostino aveva 16 anni e viveva la sua adolescenza in modo molto vivace ed esuberante e mentre frequentava la scuola di un retore, cominciò a convivere con una ragazza cartaginese, che gli diede nel 372, anche un figlio, Adeodato.
Risale al 387 il viaggio a Milano, città in cui conosce sant'Ambrogio. L'incontro si rivela importante per il cammino di fede di Agostino: è da Ambrogio che riceve il battesimo. Successivamente ritorna in Africa con il desiderio di creare una comunità di monaci; dopo la morte della madre si reca a Ippona, dove viene ordinato sacerdote e vescovo. Le sue opere teologiche, mistiche, filosofiche e polemiche - quest'ultime riflettono l'intensa lotta che Agostino intraprende contro le eresie, a cui dedica parte della sua vita - sono tutt'ora studiate. Agostino per il suo pensiero, racchiuso in testi come «Confessioni» o «Città di Dio», ha meritato il titolo di Dottore della Chiesa. Mentre Ippona è assediata dai Vandali, nel 429 il santo si ammala gravemente. Muore il 28 agosto del 430 all'età di 76 anni. Il suo corpo, sottratto ai Vandali, venne trasportato a Cagliari dal vescovo Fulgenzio di Ruspe, verso il 508-517 ca., insieme alle reliquie di altri vescovi africani.
Verso il 725 il suo corpo fu di nuovo traslato a Pavia, nella Chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro, non lontano dai luoghi della sua conversione, ad opera del pio re longobardo Liutprando († 744), che l’aveva riscattato dai saraceni della Sardegna.
Alla sua morte, scrive un biografo, Agostino “lasciò alla Chiesa monasteri maschili e femminili, pieni di servi e serve di Dio, con i loro superiori, insieme a biblioteche ben fornite di libri”. Le invasioni dell’Africa romana da parte prima dei Vandali e poi degli Arabi distrussero le fondazioni monastiche agostiniane in Africa; però contribuirono a farle trapiantare in Spagna, in Francia e nell’Italia meridionale.
La presenza agostiniana in Italia è stata importante nella storia dell'Ordine, sia perchè i primi monasteri e le prime chiese che diedero vita nel 1256 alla Grande Unione erano italiane, sia perchè da sempre la sede della Curia Generalizia è a Roma.
Anche prima del XIII secolo la devozione ad Agostino, propria dei movimenti religiosi eremitici che daranno vita alla Grande Unione, aveva già prodotto numerose dedicazioni al santo vescovo di Ippona. Tuttavia è dopo il 1256, quando i monaci rivoluzionano il loro stile di vita passando dalla campagna e dalle selve in città, che assistiamo a un proliferare incessante di nuove costruzioni di chiese dedicate ad Agostino.
Scrive lo storico Francesco Saverio Quadrio nel libro “Dissertazioni critico-storiche intorno alla Rezia di qua dalle Alpi, oggi detta Valtellina”:
“Gli Eremiti di S. Agostino, che instituiti furono presso Milano prima, che altrove, nel 387, e poi quasi del tutto estinti, ristabiliti furono nel 1276 , è credibile, che tostamente nella Valtellina contigua si propagassero. Ma quando ivi fosse - la loro entrata, non ci è venuto a notizia. In Lovero ebbono eglino un Convento, la cui Chiesa era all'Annunziazione di Maria Vergine intitolata. Fondatori n'erano stati i Capitanei di Sondrio, come attesta il Tuana, che loro abbondevoli Rendite avevano pure somministrate; il che avvenire dovette nel tredicesimo Secolo di Gesù Cristo, tosto che furono tali Religiosi ristabiliti. Un altro Convento avevano eglino in Tirano, la cui Chiesa, era a S. Agostino intitolata, dove in oggi sostituita è la Scolastica ; e un Oratorio, oltre alla Chiesa, anche avevano a San Niccolò di Tolentino ivi eretto. E' verisimile, che anche questo Convento fosse nello stesso tredicesimo Secolo quivi da suddetti Capitanei fondato, i quali, come altrove si è già narrato, molte pie Fondazioni in detti Luoghi in que tempi fecero. Ma sì il Convento di Lovero, che quello di Tirano, esendosi da molto numero di Religiosi, che mantenevano, ridotti a mantenerne assai pochi, per mancamento delle Rendite parte per iscialacquo, e parte per le disgrazie consunte, furono tutt'e due a tenore della Bolla di Innocenzo X. Instauranda, toccante la soppressione del piccioli Conventi, e la riduzione del loro Beni allo Stato Secolare, e l'applicazion d'essi, nel 1654 da Lazzaro Caraffino Vescovo di Como distrutti ; e i Beni di quel di Tirano applicati alla Confraternita del Suffragio ivi eretta; i Beni dell'altro applicati alla Fondazione d'una Cappellania in detta lor Chiesa fondata”.
Il Quadrio ci parla della chiesa dell'Annunciazione della Vergine detta comunemente di Sant'Agostino, dagli Eremitani che vi possedevano un convento, che sorse nel XIII secolo grazie alla liberalità della famiglia De Capitanei. Essa conserva una tela al suo interno che raffigura l'Annnunciazione, che fu donata dal parroco di Lovero don Giuseppe Isepponi nativo di Poschiavo.
La chiesa di Sant'Agostino in Tirano, invece, annessa al monastero agostiniano, oggi trasformato in locali ad uso comunale, dopo la soppressione degli ordini religiosi di fine Settecento, passò al clero secolare che l'amministra tuttora.
All'interno si conservano diverse tele seicentesche che descrivono alcuni episodi della vita di san Nicola da Tolentino.
La presenza di quadri dedicati a san Nicola da Tolentino non è inusuale in chiese agostiniane: si tratta in effetti del primo santo dell’Ordine rinato nel XIII secolo. L’iconografia di san Nicola è stata molto sviluppata dai monaci agostiniani, soprattutto in ordine alla sua triplice incoronazione
(fedeltà al dettato agostiniano), ai miracoli a lui attribuiti e al suo intervento a favore della anime del Purgatorio.
Del monastero di Tirano tuttavia non v’è traccia negli 8 poderosi volumi di p. Luigi Torelli “Secoli agostiniani” che narrano le vicissitudini dell’Ordine agostiniano fino al 1600. Si trova attestazione del monastero nel libro “ORBIS AUGUSTINIANUS Sive CONVENTUUM ORDINIS EREMITARUM
SANCTI AUGUSTINI Chorographica et Topographica descriptio Autore R. ADM. P. AUGUSTINO LUBIN totius eiusdem Ordinis Chorographo ac Christianissimi Galliarum regis Corographo ordinario. Parisii Apud PETRUM BAUDOVYN propre Magnum Conventum Sancti Augustini sub insigne Divi Augustini” pubblicato nel 1659.
Il che fa pensare che il monastero sia stato istituito tra la fine del cinquecento e il primo Seicento.
Si tratta però di una supposizione, abbastanza verosimile tenuto conto dell’architettura del chiostro oggi inglobato negli edifici comunali.
Entrambi i conventi furono soppressi dal vescovo di Como Lazzaro Caraffino nel 1654, in esecuzione della bolla papale di Papa Innocenzo X (1644-1655), che, nel già innescato progetto di riforma della vita claustrale, ritenendo di dover abolire i piccoli conventi in Italia, emanò il 17 dicembre 1649 la costituzione apostolica Inter cetera, con la quale ordinava a tutti i frati di redigere un elenco completo dei beni mobili e immobili dei conventi, con le relative entrate e uscite. Con la costituzione Instaurandae regularis disciplinae, emanata ancora da Innocenzo X, in data 15 ottobre 1652, la soppressione dei piccoli conventi diventava effettiva ed ovunque trasmessa sotto forma di bolla papale. In essa si specificavano anche le motivazioni: “i piccoli conventi, ormai in numero considerevole, non beneficiavano di sufficienti elemosine e quindi di risorse per una vita autosufficiente e decorosa”.
Con la bolla Instaurandae regularis disciplinae (15 agosto 1652) il pontefice rese noti i conventi destinati alla chiusura nella penisola italiana. Furono soppressi i conventi che ospitavano meno di sei monaci.

L'entrata in una vecchia corte a Lovero


















fonti:
https://culturabarocca.wordpress.com/2017/09/25/la-soppressione-dei-piccoli-conventi-del-1652/
https://it.wikipedia.org/wiki/Papa_Innocenzo_X
http://www.agostiniani.it/storia-cultura/lo-sviluppo-dellordine/
http://www.cassiciaco.it/navigazione/monachesimo/chiese/italia.html
https://books.google.it/books?id=wMTH3FZxyIQC&hl=it&authuser=0&pg=PA3#v=onepage&q&f=false



sabato 15 dicembre 2018

Pieve dei Santi Gervasio e Protasio



La chiesa di Bormio è attestata come battesimale in un diploma dell’imperatore Carlo Magno dell’803 e in uno successivo di Lotario I del 3 gennaio 824 (Salice 1969). Quest’ultimo documento cita la chiesa battesimale di Bormio unitamente a quelle di Mazzo, di Poschiavo e al piccolo monastero di San Fedele sul lago di Mezzola e conferma a Leone, vescovo di Como, i privilegi a lui concessi da Ludovico I e da Carlo Magno (Garbellini 1991). Il diploma di Lotario subì delle interpolazioni; tuttavia la menzione delle chiese, anche se fosse stata aggiunta posteriormente e quindi lasciasse dei dubbi sull'effettiva dipendenza dal vescovo di Como, implicherebbe che esse fossero indiscutibilmente note (Antonioli 1990). Bormio estendeva i suoi diritti spirituali su tutte le valli bormiesi fino a Serravalle, dove giungeva la giurisdizione della pieve di Mazzo (La contea di Bormio 1965).

Bormio viene citata, insieme alle pievi di Olonio, Ardenno, Berbenno e Poschiavo, in un documento del 1010, con il quale il vescovo Alberico fondava in Como il monastero di Sant'Abbondio e gli faceva dono dei redditi già appartenuti alla mensa vescovile (Fattarelli 1986).
Nel corso del XV secolo si staccarono dalla chiesa matrice di Bormio le chiese di San Nicolò Valfurva, San Gallo di Premadio (1467), Santa Maria di Livigno (1477). 
Le notizie piú antiche sui santi Gervasio e Protasio risalgono al 386, anno della invenzione dei loro corpi a Milano ad opera di s. Ambrogio. 
Il 7 giugno 386, nella zona cimiteriale di Porta Vercellina (nell'area compresa tra la basilica di S. Ambrogio, l'Università Cattolica e la caserma Garibaldi), nel sottosuolo antistante la basilica cimiteriale dei SS. Nabore e Felice, s. Ambrogio fece operare uno scavo: vi si trovarono i corpi dei due martiri il cui ricordo era andato praticamente perduto nella Chiesa di Milano: tuttavia i vecchi, ad invenzione avvenuta, affermarono di averne sentito, un tempo, i nomi e di averne letta l'iscrizione sepolcrale. S. Agostino, presente a Milano in quegli anni e Paolino di Milano, segretario e biografo di s. Ambrogio dicono che il santo ebbe una rivelazione (i due scritti sono rispettivamente del 397-401 e del 422); s. Ambrogio, invece, scrivendo alla sorella Marcellina la cronaca di quegli avvenimenti, parla solo di un presentimento. La traslazione delle reliquie dei martiri Gervasio e Protasio fatta da Ambrogio a scopo liturgico, sull'esempio delle traslazioni liturgiche orientali, ebbe un influsso notevole in tutto l'Occidente, segnando una svolta decisiva nella storia del culto dei santi e delle loro reliquie. 
Data la fama dei due santi e la scarsità delle notizie che li concernevano, tra la fine del sec, V e l'inizio del VI, un autore rimasto anonimo, ne compose la passio, inserendola in una lettera falsamente attribuita a s. Ambrogio, nella quale, autore della passio stessa, figura nientemeno che Filippo, il primo grande benefattore della Chiesa di Milano al tempo del vescovo s. Caio, il quale avrebbe sepolto i due santi nella sua casa. 
La passio presenta Gervasio e Protasio come figli gemelli dei ss. Vitale e Valeria. Morti i genitori, i due fratelli vendettero i beni di famiglia, ne distribuirono il ricavato ai poveri e si ritirarono in una casetta ove passarono dieci anni in preghiera e meditazione. Denunciati come cristiani ad Astasio, di passaggio per Milano diretto alla guerra contro i Marcomanni, non vollero assolutamente sacrificare e perciò furono condannati a morte. Gervasio morí sotto i colpi dei flagelli, Protasio venne invece decapitato. La leggenda intorno ai martiri si arricchì di ulteriori precisazioni: la Datiana historia ecclesiae Mediolanensis afferma che i due santi furono convertiti al Cristianesimo, assieme ai loro genitori, nobilissimi cittadini di Milano, dal vescovo s. Caio che avrebbe retto la Chiesa della città dal 63 all'85 e il loro martirio sarebbe avvenuto ai tempi di Nerone (54-68). 
In realtà sembra che il martirio di Gervasio e Protasio si debba attribuire o alla persecuzione di Diocleziano (e perciò all'inizio del sec. IV) o molto piú probabilmente a qualcuna delle persecuzioni della metà del sec. III (di Decio o Valeriano). 
La festa dei due martiri viene celebrata il 19 giugno anniversario della loro solenne traslazione del 386 nella basilica di S. Ambrogio; il 14 maggio la liturgia ambrosiana ricorda la reposizione dei corpi dei ss. Ambrogio, Gervasio e Protasio nella nuova, attuale urna preziosa, eseguita nell'anno 1874, dopo la ricognizione del 1871. 


Bormio: Carneval di Mat





 












fonti:

http://www.lombardiabeniculturali.it/istituzioni/schede/10100182/

http://www.santiebeati.it/dettaglio/58350

sabato 8 dicembre 2018

Pieve di Santo Stefano


Mazzo di Valtellina fu capoluogo di un'antica pieve (addirittura una delle quattro più antiche della Valtellina) e conseguentemente anche sede del capitanato di pieve; il territorio di competenza dell'antica chiesa battesimale di Mazzo (risalente, secondo alcuni, all'anno 775 e costituita in pieve nel 1161) si estendeva da Sernio al ponte del Diavolo, alle porte del Bormiese.
La collocazione della pieve, posta al centro di una rete di percorsi commerciali e militari lungo la valle dell'Adda fra il Bormiese e l'asse Aprica-Bernina, e l'infeudamento dopo un periodo di dominio della famiglia de Misenti ad una delle più importanti famiglie della valle, i Venosta (alla quale vennero pure infeudate le contigue pievi di Bormio e Poschiavo) sono state fra i fattori determinanti la sua importanza nei secoli. In epoca post-tridentina, stabilmente a partire dal XVII secolo, la parrocchia di Santo Stefano di Mazzo risulta compresa in un vicariato esteso al territorio del terziere superiore della Valtellina, alla giurisdizione di Teglio e al contado di Poschiavo (Ecclesiae collegiatae 1651); nel XVIII secolo la parrocchia di Santo Stefano era sede di un vicariato comprendente le parrocchie di Grosotto, Vervio, Lovero, Sernio, Tovo. Le restanti parrocchie, sorte nel corso dei secoli nel territorio dell'antica pieve di Mazzo, cioè Grosio, Frontale, Le Prese, Mondadizza, Ravoledo e Tiolo costituivano il vicariato di Grosio, eretto nel 1664 (Ecclesiae collegiatae 1758; Ecclesiae collegiatae 1794).
Nel 1614, all'epoca della visita pastorale dell'arcivescovo Giuseppe Archinti nella pieve, la chiesa plebana collegiata di Santo Stefano di Mazzo era insignita della dignità arcipresbiterale. Nel corso del XX secolo, la parrocchia di Mazzo è sempre stata sede vicariale, fino al decreto 29 gennaio 1968, mediante il quale furono istituite le zone pastorali nella diocesi di Como.
Primo martire cristiano, e proprio per questo viene celebrato subito dopo la nascita di Gesù. Fu arrestato nel periodo dopo la Pentecoste, e morì lapidato (33 o 34 dc.).
Del grande e veneratissimo martire s. Stefano, si ignora la provenienza, si suppone che fosse greco, in quel tempo Gerusalemme era un crocevia di tante popolazioni, con lingue, costumi e religioni diverse; il nome Stefano in greco ha il significato di “coronato”.
Dopo la morte di Stefano, la storia delle sue reliquie entrò nella leggenda; il 3 dicembre 415 un sacerdote di nome Luciano di Kefar-Gamba, ebbe in sogno l’apparizione di un venerabile vecchio in abiti liturgici, con una lunga barba bianca e con in mano una bacchetta d’oro con la quale lo toccò chiamandolo tre volte per nome.
Gli svelò che lui e i suoi compagni erano dispiaciuti perché sepolti senza onore, che volevano essere sistemati in un luogo più decoroso e dato un culto alle loro reliquie e certamente Dio avrebbe salvato il mondo destinato alla distruzione per i troppi peccati commessi dagli uomini.
Il prete Luciano domandò chi fosse e il vecchio rispose di essere il dotto Gamaliele che istruì s. Paolo, i compagni erano il protomartire s. Stefano che lui aveva seppellito nel suo giardino, san Nicodemo suo discepolo, seppellito accanto a s. Stefano e s. Abiba suo figlio seppellito vicino a Nicodemo; anche lui si trovava seppellito nel giardino vicino ai tre santi, come da suo desiderio testamentario.
Infine indicò il luogo della sepoltura collettiva; con l’accordo del vescovo di Gerusalemme, si iniziò lo scavo con il ritrovamento delle reliquie. La notizia destò stupore nel mondo cristiano, ormai in piena affermazione, dopo la libertà di culto sancita dall’imperatore Costantino un secolo prima.
Chiese, basiliche e cappelle in onore di Santo Stefano sorsero dappertutto, solo a Roma se ne contavano una trentina. Suo attributo sono le pietre della lapidazione, per questo è invocato contro il mal di pietra, cioè i calcoli ed è il patrono dei tagliapietre e muratori.
 
Mazzo di Valtellina, corte interna Palazzo Lavizzari
















fonti:
http://www.santiebeati.it/dettaglio/22050

https://it.blurb.com/b/9791529-si-erano-persi-nei-meandri-della-vita-ed-altri-rac